Aboriginal & Torres Strait Islander Data Archive

Il “Museo delle culture del Mondo di Genova” e la voce degli oggetti

Thu, 07/07/2011 - 09:33 -- mredden

Entrando nel giardino, su per la salita che arriva al castello, ogni rumore di Genova improvvisamente tace. Rimane solo la macaia, che mi accompagna lenta sino all’entrata del museo. Eretto sulla collina di Montegalletto nell’ultimo ventennio dell’800, il castello nasce come dimora del Capitano Enrico Alberto D’Albertis che lo dona a Genova alla sua morte, nel 1932.

Castle D’Albertis

Veduta esterna del castello D’Albertis

Tre giri intorno al mondo e intimi cimeli sono tutti custoditi tra le camere dei suoi appartamenti privati. Dalla Sala Colombiana proseguo verso quella delle Meridiane, dove mi stupisco davanti al celeste intenso delle pareti e del porto di Genova ammirato dalla terrazza. Arrivando al Salotto Turco, respiro in penombra l’esotismo dei salotti di fine secolo, immaginando sinuose odalische danzare davanti al camino. Proseguendo poi nel bastione cinquecentesco, passeggio tra le ricche collezioni esposte provenienti da Africa, Americhe e Oceania. In questa bella ristrutturazione gli oggetti non hanno bisogno di particolari allestimenti o decori, perché la loro unicità si ricrea in quella delle mura che li conservano. La location non conserva solo gli oggetti, ci si amalgama completamente.

The Turkish Room

Il salotto Turco

Scoprirò, inoltre, che nel “Museo delle Culture del Mondo” di Genova il dialogo con le comunità indigene è una vera e propria missione e costituisce la linfa vitale di questa istituzione. Questo museo non si limita a custodire gli oggetti, ma diviene luogo d’incontro di eredità culturali diverse: i manufatti non vengono più solo osservati, ma divengono il tramite di un dialogo che coinvolge entrambe le parti. L’attenzione non è più incentrata sull’oggetto in quanto tale, ma sugli scorci di vita che questi manufatti hanno osservato e cui hanno partecipato. L’inaugurazione stessa del museo è avvenuta per mano di membri della comunità Hopi dell’Arizona, che hanno così avuto modo di rappresentare come la loro cultura sia realmente vissuta oggi. Fondamentale, nel 1995, l’attività con la pittrice aborigena australiana Pansy Nabanardi, che ha svolto attività con gli studenti del corso di Etnologia e dell’Accademia di Belle Arti. La sua storia, la sua pittura e il suo modo di dipingere si sono amalgamati in un dialogo dialogico aperto con gli studenti. Significativo e commovente, il contributo di una studentessa che ripercorre la tecnica, la posa e i significati del dipinto aborigeno della pittrice. E ancora, la mostra “Io sono Bororo” che, frutto di una collaborazione durata più di sei anni, è il primo esempio in Italia di esposizione realizzata in stretta collaborazione con una comunità indigena. Il museo è attivo anche in alcuni progetti con comunità straniere presenti a Genova, attraverso numerose attività svolte, ad esempio, con le comunità africane e latinoamericane.

 

Pansy Nabanardi Patrizia Andriani

La pittrice aborigena Pansy Nabanardi

Patrizia Andriani, mentre riproduce il dipinto di  Pansy per l'esame di Tecniche Pittoriche dell'Accademia Linguistica, replicando la sua postura

Per info sul “Museo delle Culture del Mondo”, riferirsi al sito ufficiale: http://www.museidigenova.it/spip.php?rubrique25&lang=it